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 SANT'AGATA DI PUGLIA E IL CASTELLO

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A cura di Pietro Bove

La storia del Castello di Sant'Agata, che per lo più riflette anche quella del paese, è legata principalmente alla natura del luogo che lo ospita, quale ottimo osservatorio e punto strategico, dominante la valle del Calaggio, i confini dell'Irpinia, della Lucania e della Daunia, e posto proprio allo sbocco dei valichi campani verso la Puglia (confini di dominio Longobardo- Bizantino). Il territorio è stato attraversato da una vasta viabilità romana ed ha avuto una notevole presenza monastica, come è testimoniato da monumenti e vestigia. Il Castello, Castrum o Rocca, era denominato nel periodo romano Artemisium, forse per il fatto che in vetta al monte vi fosse un tempio pagano dedicato alla dea Artemide. Con l'avvento del Cristianesimo, e precisamente quando nel 592 per volontà del Papa Gregorio Magno furono trasportate le reliquie della Martire Sant'Agata da Catania a Roma, l'Artemisium fu battezzato Sant'Agata in onore della Santa. La Rocca di Sant'Agata ha ricoperto nel medioevo la funzione importantissima di provincia o distretto militare e amministrativo, avendo il comando di una circoscrizione composta da un determinato numero di paesi. Questo distretto con i Longobardi era denominato Gastaldato, al comando del quale vi era il Gastaldo, che nell'anno 997 risulta essere un tale Marino. Durante la dominazione longobarda Sant'Agata fu l'ultimo avamposto del Ducato di Benevento. Verso il Mille erano padroni della Rocca Landolfo e Pandolfo, principi beneventani.

La tradizione orale santagatese ha tramandato la leggenda del valoroso condottiero Capitano Agatone, Signore di Sant'Agata, abile e astuto nelle sue imprese, rigido nel far rispettare le leggi, trovò la morte per mano del suo barbiere il quale non accettò che fosse applicato nei confronti della sua sposa la "ius primae noctìs". I Marchesi Loffredo fecero dipingere un ritratto di Agatone, tutt'ora esistente, sotto la volta dell'atrio di accesso al cortile del Castello, in un ovale delimitato da una fascia su cui è scritto: "Agatho dux arcis Sanctae Agathae - mori potius quam foedari".

Nella seconda metà dell'anno Mille la Rocca era in mano ai Normanni. Abagelardo, nipote del Duca Roberto il Guiscardo, con suo cognato Gradelone, tentò di sollevare contro il Duca molte città della Puglia e in questa azione si fortificò in Rocca Sant'Agata. Roberto il Guiscardo per porre fine a questa insurrezione mosse alla cattura di Abagelardo assediando la Rocca che si arrese nel 1079. Nel 1086 era padrone della Rocca il Duca Ruggiero d'Altavilla figlio di Roberto il Guiscardo al quale seguirono i consanguinei Brittone, Rainolfo, suo figlio Ioele e Riccardo figlio di quest'ultimo, i quali saranno padroni della Rocca fino al 1133 anno in cui il Re normanno Ruggiero II, primo Re di Sicilia, che governava su tutto il regno dell'Italia meridionale, come ci ha tramandato un cronista dell'epoca: "volle e ricevette da Riccardo, la fortezza di Sant'Agata, per il fatto che, posto su inaccessibile monte, dominava quasi tutta la Puglia, che egli di là poteva difendere in grandissima parte."

Nel periodo della dominazione normanna la provincia militare era denominata 'Comestabulia' ed a capo vi era il Contestabile. Dal 1150 e probabilmente fino al 1163 fu Contestabile Garmondo. In questo periodo gli ufficiali che presidiavano il comando militare erano 33. Nel 1153 risulta "magister castelli sancte agathes" Guglielmo De Marri, accanto al quale vi sono i milites con il catapano Pietro Maledetto prima e Gualeramo poi. Risultano poi Contestabili Leadasio e Carlo De Anzano. Costui era a servizio di Ruggiero Conte di Andria, il quale parteggiava per Costanza d'Altavilla e cospirò contro Tancredi sollevando le città di Puglia, conquistando Corneto, fortificando Sant'Agata e ritirandosi in Ascoli ove trovò la morte nel 1170.

Dopo Ruggiero fu padrone di Sant'Agata suo figlio Roberto il Calagio il quale subì la sconfitta da parte di Tancredi al quale dovette arrendersi dopo tre anni, quella fu l'unica volta che Sant'Agata venne presa con la forza delle armi. Il Castello, oltre che presidio reale, fu anche buon rifugio e come tale fu usato dal Conte Diopoldo, Duca di Spoleto, (tutore del piccolo Federico II, il futuro imperatore), il quale rifugiatosi nella Rocca per sfuggire a Gualtieri di Brienne, fu fatto prigioniero dal castellano che lo liberò dietro il pagamento di una forte somma.

Durante la dominazione sveva, la provincia militare di Sant'Agata era denominata 'Castellania'. L'Imperatore Federico II emanò due mandati con i quali obbligava tutti i paesi appartenenti alla Castellania di Rocca Sant'Agata a riparare il castello. Il primo mandato del 1239 così recita: "È stato assodato tramite un'inchiesta che è stata eseguita, che i seguenti paesi del Giustizierato della Terra Beneventana, sono tenuti e debbono riparare il castello di Rocca Sant'Agata in Capitanata, cioè gli uomini di Gesualdo, di Frigento, di Mirabella, Paternopoli, S.Mango, Trevico, Vallata, Flumeri, Villanova del Battista, Zuncoli, Bisaccia, Lacedonia, Rocchetta, Monte Verde, Aquilonia, Morra, Castelbaronia, Savignano e Greci".

Se nella prima inchiesta i paesi appartengono al Giustizierato della Terra Beneventana, nella seconda si apprende che il distretto si allarga e comprende anche alcuni paesi della Capitanata, infatti i capitoli del secondo mandato, del 1250, sono due: 

par.99:

Il Castello di Sant'Agata può essere riparato dagli uomini dello stesso paese con il Casale di Sant'Antuono, Ascoli, Candela, Santo Stefano in Iuncarico e San Pietro in Olivola, le quali terre debbono anche prestare una determinata obbligazione ogni anno nel predetto castello."

par.90

"Il Castello di Rocca Sant'Agata deve essere riparato dagli uomini di Gesualdo, Frigento, Mirabella, Paternapoli, San Mango, Trevico, Vallata, Flumeri, Villanova del Battista, Zungoli, Bisaccia, Lacedonia, Rocchetta Sant'Antonio, Monteverde, Aquilonia, Morra, Castelbaronia, Savignano e Greci e dagli uomini di Rocca Sant'Agata."Con Federico II si ha modo di comprendere la vera importanza che ha ricoperto il Castello. Infatti il 5 ottobre del 1239 l'Imperatore trovandosi a Milano, tramite il suo segretario Pier delle Vigne, inviò ai provvisori regionali dei suoi castelli privati un mandato. Si tratta in breve di questo: i provvisori avevano pieni poteri di sostituire con nuovi castellani quelli che dalle loro improvvise ispezioni risultassero o poco fedeli o poco solleciti nei loro doveri di cura dei castelli.

Secondo questo mandato per una quarantina di castelli su 242 l'Imperatore aveva deciso di provvedervi di persona nella scelta e nella nomina dei castellani. Si tratta dei cosiddetti 'castra exempta', castelli eccettuati, di primaria importanza, sia come fortezza del Regno, sia come dimore residenziali preferite dall'Imperatore. In Capitanata i castelli preferiti erano soltanto due: quello di Rocca Sant'Agata e quello di Monte Sant'Angelo.

Alla dominazione sveva succedette quella angioina, durante la quale il nostro Castello conserva ancora la sua funzione di provincia militare amministrativa. Ancora una volta, in seguito alle continue guerre, la Rocca deve essere riparata ed il Re Carlo I d'Angiò provvede a far realizzare i lavori di riparazione tramite il Giustiziere di Capitanata. La documentazione va dal 1274 al 1279 ed il mandato Reale del 1279 riporta il lungo elenco dei paesi obbligati alla riparazione, il quale corrisponde a quello già stabilito da Federico II. Il Re aveva una sua abitazione privata nel Castello e nel 1269/70 aveva fatto ornare la Cappella interna dedicata a Sant'Agata, e vi aveva fatto collocare tre artistiche lonze, oggi inesistenti. Da vari documenti apprendiamo come era organizzata l'amministrazione del Castello sotto il Re Carlo I d'Angiò:

  • Negli anni 1269/70 troviamo due Castellani: Simon de Fontana e Guillelmus Marmorellis.
  • Dal 1265 al 1271 il Castello risulta custodito da 35 servi. Il Castello era anche prigione.
  • Nel 1272 i servi sono 20.
  • Nel 1273 la Castellania è affidata a Giovanni di Santo Stefano.
  • Il 1° gennaio del 1295 Re Carlo nomina Castellano di Rocca Sant'Agata il milite Guglielmo Lande; sei giorni dopo il Re muore a Foggia.
  • A Carlo I succede suo figlio Re Carlo II.

Nel 1294 il Castello è ancora regio e ne è Signore Goffredo de Jonville; nel 1296 Carlo II d'Angiò ordina 'alle Terre' del fu Goffredo di obbedire a suo fratello Giovanni. Nel 1304 era Signora di Sant'Agata Filippa Belmonte. Nel 1396 nel Castello si svolse un avvenimento di particolare importanza. Il Vicerè vi convocò un parlamento per il bene pubblico al quale parteciparono tutti i baroni che avevano seguito la fazione angioina e, seguendo l'esempio di Napoli che aveva creato gli Otto del Buono Stato, furono eletti in quel parlamento sei deputati per il Buono Stato del Regno. Il 10 giugno del 1419 la Regina Giovanna II d'Angiò diede per la Castellania di Sant'Agata 100 ducati al grande Camerario del Regno di Sicilia Pandolfello Piscopo, quindi a quella data il Castello risulta essere ancora regio. Il territorio di Sant'Agata era stato infeudato agli Jonville, dai quali, non si sa come, passò ad Andreis de Perretto, la cui vedova, contessa di Troia, lo trasmise a Francesco Orsini, che ella sposò in seconde nozze. Dopo la morte del re angioino Roberto, Carlo Artus era Conte di Sant'Agata. Dopo l'eccidio della Casa Artus la Contea passò a Bartolomeo Tomacelli. Il regno angioino durò 172 anni al quale seguì il regno aragonese. Sotto Alfonso d'Aragona il Castello è in potere della Casa Orsini che possedette l'alta Signoria di Sant'Agata per molti anni. Sopra una lapide che stava sul primo portone del castello si leggeva:"Iacobus de Ursinis dux Gravinàe, Campaniae abcomes A.D.MCCCCLXXIV". Il padre di detto Giacomo, il Duca Francesco Orsini eresse, nel 1443 il CONVENTO DELL'ANNUNZIATA (SANT'ANTONIO) per i Frati Minori Francescani, su terreni e altri locali di sua proprietà là dove vi era la CHIESA DELL'ANNUNZIATA che fu inserita nel complesso conventuale e adattata alla nuova funzione cui fu destinata. Il complesso francescano, con i suoi Frati, è stato attivo fino all'anno 2012. Con gli Orsini il Castello era ancora forte se un ispettore spagnolo stendeva questa preziosa relazione: "Sancta Agatha in Capitanata. Esta' situada en un altissimo monte con suos muros, un castillo fuerte en cima de la ciutad." Ed infatti nel 1557 il Castello è ancora coinvolto in azioni belliche, per volontà del Duca d'Alba, Viceré di Napoli, il quale supponendo che un esercito potesse invadere il regno, ordina a D. Garcia di Toledo di fortificare, oltre Venosa ed Ariano, anche Sant'Agata. Con gli Orsini il Castello subì le prime modifiche divenendo residenza ducale, poi con i Loffredo perdette man mano le sue antiche strutture e divenne residenza marchesale. I Loffredo, "famiglia ricca di sangue, di antenati e di pubblici uffici", entrarono nelle pertinenze di Sant'Agata sin dal 1526 quando Cicco Loffredo, Marchese di Trevico e di altri territori, ebbe in enfiteusi il distrutto casale di San Pietro in Olivola con tutto il territorio. Poi acquisirono anche il Casale di Santa Maria d'Olivola. Così, con la loro politica di espansione, miravano a divenire Signori di Sant' Agata e vi riuscirono. Infatti nel 1576 D. Carlo Loffredo comprò dagli Orsini per 36.000 ducati la Signoria di Sant'Agata. Questa famiglia si distinse per le opere pie e religiose, tra l'altro si adoperò per l'edificazione del CONVENTO DI SAN CARLO dell'Ordine Francescano dei Riformati. Nel 1613 l'edificio era già realizzato. Nel Convento, nell'anno 1664 fu istituito un lanificio per i Frati della Provincia e una scuola di filosofia e teologia. Fu abbattuto negli anni '60 per realizzare l'attuale campo sportivo. In questo luogo si svolgeva LA CAVALCATA DI SAN LORENZO.

Dalla Cronaca dell'Agnelli si apprende che: "la mattina del 10 agosto, giorno devoto e solenne per Sant'Agata, tutta la gioventù che avevano i cavalli, ordinata e preceduta dal Sindaco si raccoglieva dietro San Carlo, perciò quel luogo detto San Lorenzo, ed abbinata movea al Convento. Là assistito alla messa e presentata da un mazzolin di fiori dal Guardiano dei frati, galoppava pel paese entrandovi per la Porta Nuova; e per la piazza conveniva al castello, in cui il Marchese, o un suo agente la riceveva lietamente e compliva." Con i Marchesi Loffredo è documentata presso il Castello una certa attività teatrale. Le rappresentazioni che si svolgevano nella grande sala nord un tempo destinata ai convegni signorili avvenivano varie volte durante l'anno. Era quasi rituale la sera del 10 agosto, giorno festivo di San Lorenzo, nel quale veniva molta gente dalle vicinanze. Gli attori erano del paese e tutti di sesso maschile che recitavano anche le parti femminili. Dopo il teatro signorile ne nacque nel 1840 un altro, più piccolo alla Piazza Vecchia con il contributo di 14 quattordici famiglie benestanti. Il marchesato Loffredo durò circa tre secoli fino alla metà dell'800. Tutta l'eredità passò al Marchese di Monteforte Francesco di San Felice il quale sposò l'ultima erede Maria Luisa che morì nel 1853. L'amministrazione del Marchese passò nel palazzo De Caprio, e il Castello fino al 1840 fu abitato provvisoriamente da famiglie di passaggio. In seguito fu abbandonato. Nel 1862 fu censito alla famiglia Del Buono. Nell'agosto dell'anno 2000, l'Amministrazione Comunale guidata dal Sindaco dott. Vito Nicola CRISTIANO, acquista per £.1.600.000.000 il Castello di Sant'Agata di Puglia, facendolo diventare bene culturale pubblico e consegnandolo così ai santagatesi, alle nuove generazioni, alla pubblica fruibilità divenendo volano per lo sviluppo turistico di Sant'Agata di Puglia.

 

ARCHITETTURA MILITARE

Sistema difensivo 

Il sistema difensivo medioevale realizzato a protezione del centro urbano di Sant'Agata di Puglia, consiste in una doppia cinta murata. La prima, di fondazione longobarda, venne eretta a protezione del Castello. La seconda, collegata al castello, venne costruita per difendere da attacchi militari il centro abitato, che lungo il perimetro esterno venne racchiuso. La cinta murata urbana, dalla forma triangolare, era lunga circa 1000 mt e le altezze variavano circa da mt 8 a mt 20; la fabbrica con cui è stata edificata consiste in pietra delle cave locali, malta e blocchi di arenaria, ciottoli dei fiumi Frugno e Speca e da mattoni. Edificata attorno ai secoli XI e XII, la cinta murata urbana proteggeva un determinato numero di case e abitanti, tra cui le chiese di Sant'Andrea, San Michele Arcangelo e San Nicola. Originariamente le porte del paese erano due: Porta Sant'Angelo verso la Campania (Principato d'Ultra) e Porta Perillo, verso le Puglie (terra di Capitanata), ambedue fortificate e poste ai limiti della direttrice principale che percorreva tutto il centro. A seguito dell'aumentare della popolazione fu aperta un'altra porta principale, Porta Nova, all'esterno della quale, alla fine del 1500, vi era un ospedale, inoltre furono aperte tre portelle: Portella Sant'Andrea, Portella San Nicola e Porta La Salvia. Nei punti nevralgici la cinta era rinforzata da torri e bastioni. Le mura sono documentate nell'anno 1443. Molti tratti di mura sono stati inglobati nelle abitazioni durante le fasi di edificazione edilizia. Mentre all'esterno si evincono ancora:

  • la torre a protezione della Portella Sant'Andrea, adibita successivamente ed attualmente a campanile per la Chiesa di Sant'Andrea;
  • il cantonale di Via Montegrappa in blocchi di pietra rotondeggianti, sormontato da capitelli con volute laterali;
  • la torre a protezione della Porta Sant'Angelo, ubicata in Via Parini, in conci di pietra, rimaneggiata nella parte superiore e su cui è stata realizzata una scala laterale;
  • il tratto di mura ubicato tra Corso Carmelo Barbato (monte) e Via Cavour (valle), nel quale è inserita la Porta Nova, con fabbrica di muratura, composta da conci di pietra irregolari; il portale d'ingresso al paese è in conci rettangolari di arenaria; l'abitazione sita sotto l'arco era la guardiola dalla quale la ronda controllava chi usciva e chi entrava dal paese;
  • I ruderi in muratura che corrono lungo il perimetro posteriore della Chiesa di San Nicola (ex ingresso alla cripta);
  • la torre, in conci di pietra, localizzata alla parte posteriore della Chiesa di San Nicola, poi inglobata nel complesso, in cui alla parte superiore è stato ricostruito un vano della sacrestia;
  • l'ubicazione della Portella Sant'Andrea, corrispondente al luogo ove oggi sorge il sagrato antistante la Chiesa di Sant'Andrea;
  • l'ubicazione della Porta Sant'Angelo, in Via Parini, laddove in seguito è stata edificata l'attuale abitazione.

Castrum o Rocca

Lungo il perimetro della parete destra della facciata principale e lungo la facciata posteriore del Castello, nella parte inferiore, sono presenti strutture murarie o ruderi che appartengono alla primitiva Rocca. Anche l'Agnelli nella sua Cronaca menziona tali ruderi attribuendoli all'epoca romana. Solo uno studio archeologico potrà documentare con certezza il periodo di appartenenza. Il Castello è situato sulla vetta della montagna a quota 795 metri sul livello del mare. Oggi presenta la struttura adibita a dimora nobiliare e signorile trasformata nel corso dei secoli dai tanti interventi di restauro e rimaneggiamenti. La muratura delle strutture verticali esterne è in conci di pietra con cantonali squadrati. Alla facciata principale sono evidenti le due torri quadrangolari della struttura medioevale, unite in seguito da una fabbrica centrale per ricavarvi stanze interne. Il Castello ha pianta rettangolare (m. 43,70 e 45 x 34) ed è dotato di corte interna (m. 29,90 x m. 18,94) pavimentata in selce di fiume. Qui sono visibili oltre all'ingresso alla Cappella gli ingressi ai locali sotterranei dai quali ripartivano cunicoli o sottopassaggi con sbocchi all'esterno, e ai piedi della montagna. Inoltre vi sono i locali destinati a magazzini, stalle, cantine, frantoio, e botteghe varie oltre alla cisterna. Dalla corte si raggiunge il piano superiore tramite scala esterna e terrazzo protetto da parapetto in muratura. Al piano terra gli ambienti sono 16, al primo piano 27 e al sotto tetto 16. Al pian terreno vi sono alcune aperture a finestra mentre ai piani superiori vi sono affacci di finestre e balconi. Il Castello era munito di fortificazione che corrisponde alla cinta muraria esterna, con due torri tonde ed una quadrata. Tra la cinta e il Castello vi è un'area che probabilmente veniva utilizzata come piazza d'armi. Resti di antiche fornaci si rinvengono nella parte sottostante l'area a sud tra il Castello e la cinta muraria. L'ingresso al Castello è dato tramite un grande portale (a cui manca il portone) in pietra rosa a bugnato rigato con arco sormontato da due animali marini che affiancano, centralmente, lo stemma della famiglia Loffredo.

 

CINTA MURARIA 

Sistema difensivo militare del castello

La cinta muraria racchiude il Castello per tre lati, ed è la più antica. Essa poggia sulle falde rocciose. È composta da una fabbrica a doppia cortina, in conci di pietra da tre a cinque filari alternati ad uno di laterizio. Presenta due torri circolari e una quadrata la quale affianca il primo portone d'accesso. Le tecniche costruttive documentano la fondazione in epoca longobarda. La cinta muraria è stata restaurata in epoca sveva e angioina, interventi realizzati per volere del Re Federico II di Svevia Imperatore, negli anni 1239 e 1250 e per volere del Re Carlo I d'Angiò nel 1279. La manutenzione è stata continua nel corso dei secoli. Dalla cinta muraria si dipartivano le mura di protezione del centro urbano. 

Sistema difensivo militare del centro urbano 

Il Borgo medievale nasce e si sviluppa a partire dal primitivo nucleo abitato costituito dal Castello e dalla Piazza Chiancato. L'impianto urbano è stato costruito tenendo conto della orografia del monte, al quale è stato addossato. La prima cinta murata, longobardo-normanna, poi restaurata dagli Svevi e dagli Angioini, è stata eretta a protezione del Castello. Poggia su falde rocciose e racchiudeva il Castello per tre lati. Presenta due torri circolari e una quadrata. Il borgo medievale è stato edificato sul versante sud orientale del monte, delimitato tra le due dorsali laterali e fortificato da strutture murarie, spesso coincidenti con quelle abitazioni, intervallate da bastioni o torri. Man mano che il borgo si espandeva, a partire dalla vetta ove sorge il Castello, verso valle, le mura di cinta precedenti venivano superate ed edificate quelle nuove. A valle il borgo medievale ha avuto la sua espansione fino alle mura fortificate della Porta Nuova. Le prime porte furono:

  • Portella Sant'Angelo, verso la Campania 
  • Porta Perillo, verso le Puglie
  • Porta Nuova

Sempre sulle dorsali laterali furono aperte:

  • Portella Sant'Andrea
  • Portella San Nicola
  • Portella La Salvia
La cinta muraria urbana aveva la funzione di proteggere il paese da attacchi militari. Edificata nel medioevo cingeva Sant'Agata in un percorso perimetrale che, secondo la "Cronaca" dell'Agnelli doveva avere il seguente itinerario: partiva dalla torre occidentale del Castello e si piegava al bastione o torre (il toponimo Vico I e Vico Il Bastione sono la testimonianza di una torre in quel luogo), verso l'immane dirupo di Porta Nuova, e per la piazza nuova finiva alla torre rotonda del Perillo dalla quale proseguendo verso la Chiesa di San Nicola, saliva e si ricongiungeva alla torre orientale del Castello. Il primo centro civico del primitivo nucleo abitato fu Piazza Chiancato (o Piazza Comune Vecchio), a ridosso della rocca. Nell'epoca longobardo-normanna Sant'Agata è interessata alla sua prima evoluzione urbanistica importante, con la quale la piazza fu spostata in prossimità della Chiesa di San Nicola. Infatti il centro viene ricordato dal toponimo di "Piazza Vecchia". Da una relazione di un ispettore spagnolo della prima metà del 1500, quando in Sant'Agata vi erano i feudatari Orsini, si apprende che: "Sancta Agatha in Capitanata. Està situada en un altissimo monte con suos muros un castillo fuerte en cima de la ciutad". Tra il 1500 e il 1600 alcune nobili ricche famiglie tra cui i De Marinis e i Capria, edificarono palazzi signorili tra la Piazza Vecchia e la cinta muraria urbana; queste edificazioni proseguirono anche nel 1700. Da due documenti del 1674 e del 1702 si apprende che la cinta muraria in quell'epoca aveva ancora la sua funzione. Nel 1720 nella struttura a sinistra dell'arco della Porta Nuova fu inserita la Chiesa della SS. Trinità e un ospedale, per volontà del benefattore notaio Antonio Basso. L'università stanziava nel bilancio annuale una cifra (nel 1750, quaranta ducati) per i restauri delle mura fortificate. Una volta cessate le ragioni di difesa l'espansione edilizia superò la cinta così si formarono alcuni rioni o borghi: uno nacque attorno al Convento di S. Maria delle Grazie un altro attorno al Convento del-l'Annunziata, posizionati fuori le mura. I due borghi sono stati accorpati al paese in conseguenza dell'ulteriore edificazione. Molti tratti di mura sono stati inglobati nelle abitazioni durante le fasi di costruzione. Si rende necessario uno studio e una indagine per l'identificazione di queste mura al fine di localizzarne l'esistenza e il percorso. Oggi della cinta muraria urbana sono evidenti i tratti di mura ubicati in Corso Carmelo Barbato (monte) e in Via Cavour (valle), nei quali è inserito l'arco della Porta Nuova. Questo tratto presenta la fabbrica in muratura, composta in conci di pietra irregolari; il portale d'ingresso al paese è in conci di arenaria; sotto l'arco sono evidenti i due cardini che servivano a fissare il portone. L'abitazione sita sotto l'arco era la guardiola dalla quale la ronda controllava chi entrava e chi usciva dal paese.

TORRE DEI PRONZI

Torre della cinta muraria urbana

La torre è inglobata nell'abitazione di Via Alfieri n. 6, presso il Perillo. Essa è di età medioevale, faceva parte della cinta muraria urbana a protezione della porta del Perillo. È documentata nel 1754 con il toponimo dì "Torre dei Pronzi". Presenta la pianta circolare; il suo interno è in conci di pietra e la base poggia sul tipico conglomerato roccioso locale. La parte superiore è stata troncata per realizzare il solaio dell'abi-tazione superiore.

 

ARCHITETTURA RELIGIOSA 

Nell'area territoriale di Sant'Agata di Puglia le prime testimonianze di culti religiosi sono risalenti all'età preistorica. I primi menhir venuti alla luce, in contrada Borgineto, seguiti dai successivi ritrovamenti lungo la Valle dello Speca (oltre Borgineto, Limiti e Serbaroli), sono la testimonianza di un culto legato al fenomeno delle stele e statue-stele, praticato in quella zona, dove gli antichi abitatori vivevano in capanne o grotte e avevano sepolcri nei quali seppellivano i loro morti. Durante la dominazione romana Sant'Agata era denominata Artemisium e sulla vetta del monte, dove è impiantato il Castello, vi era la Rocca con il tempio dedicato alla Dea Artemide. Nell'anno 592 il Papa Gregorio Magno volle che le reliquie della martire Sant'Agata, da Catania fossero trasportate a Roma. L'evento contribuì sicuramente alla divulgazione del culto liturgico della Santa; dev'essere stato in quel periodo che l'Artemisium fu ribattezzato con il nuovo toponimo Sant'Agata. Quindi, nello stesso luogo ove sorgeva il tempio pagano fu realizzata la Chiesa dedicata alla martire catanese. La religione cristiana sia nel territorio che nel paese ha avuto una presenza notevole nel corso dei secoli. Il territorio è stato attraversato da una ampia viabilità sia durante la dominazione romana che nel medioevo, in quest'ultimo periodo è stato ricco di insediamenti monastici. In località Sant'Antuono, vicino al ponte romano di Palino, sorge il Convento di Sant'Antuono, su strutture preesistenti di epoca romana che erano destinate a stazione militare e fermata di commercio. Non si sa con esattezza quale fu l'Ordine fondatore, se quello Benedettino o quello Teutonico degli Spedalieri che aveva come patrono Sant'Antonio Abate. Sicuramente il Convento, intorno al quale si sviluppò il Casale, veniva adibito ad ospedale per malati, rifugio per viandanti e luogo di cura per i soldati. In ogni seconda domenica di maggio da Sant'Agata vi giungevano i fedeli in processione per festeggiare il Santo. In località Santa Maria d'Olivola, sorgeva il Convento omonimo con le Chiese di Santa Maria e San Nicola. Anche qui si sviluppò il Casale che nel XIV secolo raggiunse una popolazione di circa mille abitanti. L'ordine monastico era quello Benedettino Camaldolese di San Lorenzo d' Aversa. Poco distante da Santa Maria d'Olivola esisteva il Priorato di San Pietro d'Oli-vola. L'insediamento dell'Ordine Benedettino dipendente da Cava dei Tirreni, di cui oggi alcune vestigie ne sono la testimonianza, era costituito dal Convento, dalla Chiesa di San Pietro e dal Casale. È documentato sin dal X secolo. A breve distanza dal centro abitato, su una altura sorgeva il Priorato di San Pietro Orsitano, posseduto dai Verginiani dell'ordine dei Benedettini. Il Complesso, Convento e Chiesa intorno al quale si sviluppò il Casale, fu fondato nel XII secolo da San Guglielmo di Vercelli, su richiesta del Signore di Sant'Agata Joele Brittone. Nel 1557 i monaci si trasferirono in paese presso il Convento di Santa Maria delle Grazie. Il territorio inoltre è ricco di Chiese e Cappelle, sia pubbliche che nascevano nelle varie contrade laddove vi era più popolazione, di cui si ricordano: San Toto, San Stase, San Lorenzo, San Vito, che private di cui si ricordano la Chiesa in Palino e le Cappelle presso la Masseria Agnelli, Masseria Del Buono, Masseria Locurcio, ed altre. Notevole è anche la presenza delle edicole sacre delle quali ne sarà dato cenno più avanti assieme a quelle esistenti nel paese. Irrimediabilmente perduto è l'ex Convento di San Carlo, dell'ordine Francescano dei Riformati. Fu edificato agli inizi del 1600 nel sito oggi adibito a campo sportivo. Rivestì una certa importanza anche per le attività annesse a quella religiosa. Infatti nel 1664 vi fu istituito un lanificio per i Frati della Provincia e l'insegnamento di filosofia e teologia. Di qui partiva la cavalcata storica che si celebrava ogni 10 agosto, festa di San Lorenzo. Nel centro urbano notevole è la presenza delle Chiese adeguata sicuramente alla popolazione più numerosa dei tempi passati. Nel medioevo, oltre la Chiesa di Sant'Agata ubicata nel Castello, le Chiese esistenti nel paese erano tre: Sant'Andrea, San Michele Arcangelo, San Nicola. Fuori le mura si svilupparono, inizialmente soltanto con le Chiese, i due complessi monastici di Santa Maria delle Grazie e dell'Annunziata. Nel XVI secolo per l'architettura santagatese inizia un periodo fiorente, infatti un certo miglioramento economico, l'incremento della popolazione con l'inserimento di nuove famiglie facoltose, favoriscono l'edificarsi di palazzi signorili e il restauro e l'ampliamento delle Chiese. Dai fuocatici dell'epoca risulta che nel 1522 la parrocchia di San Michele Arcangelo contava 161 fuochi, quella di San Nicola 93 e quella di Sant'Andrea 38, mentre nell'anno 1597 San Michele Arcangelo ne contava 335, San Nicola 166 e Sant'Andrea 66. Presso le Chiese parrocchiali vengono istituiti i primi registri sulla popolazione: il Parroco Arciprete Don Gabriele Bilella istituì nell'anno 1648 l'Archivio Parrocchiale di San Nicola (registri di Battezzi, Matrimoni, Morti); D. Ovidio Zaccaro nell'anno 1587 istituì l'archivio Parrocchiale di San Michele Arcangelo; 'D. Giovangiacomo Monaco istituì nell'anno 1623 l'archivio Parrocchiale della Chiesa di Sant'Andrea (solo libro battezzati). Fuori le mura furono edificate in seguito la Chiesa della Madonna dell'Arco e la Chiesa di San Rocco nel XVII secolo. Mentre sulle mura fu edificata la Chiesa della SS. Trinità nell'anno 1720 ad opera del Notaio Francesco Basso e la Chiesa della Madonna del Carmine ultimata nell'anno 1768. La maggior parte di dette Chiese sono state edificate agli estremi lati del paese, tale scelta è stata dettata in conseguenza della conformazione del sito sul quale tutto il centro si è sviluppato. Infatti il parco urbano, esposto a sud-est, è addossato alla montagna ed inserito nella stessa con la sua miriade di ipogei. Quindi la mancanza di spazio in profondità ha consigliato l'edificazione dei sacri edifici sui laterali della montagna al fine di poterli realizzare in modo ampio e nelle architetture e disegni desiderati. Le Chiese, spesso, sorgono presso le mura e in corrispondenza di una porta, con una piazza sagrato antistante, quasi sempre l'unica del rione. La tipologia riscontrabile va da quella con aula rettangolare, altari addossati alle pareti e cantoria lignea sulla porta d'ingresso, a quella a tre navate o navata unica con pianta a croce latina, coro e abside semicircolare. I prospetti presentano quasi tutti la facciata a capanna. I campanili affiancano le Chiese, sono a torre con due o tre ordini. Il patrimonio monumentale religioso di Sant'Agata di Puglia inoltre documenta alcune Chiese oggi inesistenti, si tratta della Chiesa della Madonna del Soccorso, sita vicino al palazzo Barbato; la Chiesa dell'Addolorata sotto il palazzo Volpe; la Chiesa del Purgatorio alle spalle della abitazione Agnelli (ex piazza vecchia) e la Chiesa del Salvatore dove finiva la piazza vecchia (di cui oggi il toponimo Via Salvatore ne è la testimonianza). Inoltre, nei pressi della fontana Acquatorta c'era la Cappella di San Giovanni il Precursore, di tale Cappella rimane il toponimo legato alla fontana denominata "Fontana San Giovanni". L'insieme di queste Chiese è la testimonianza di una forte fede cristiana presente nei secoli in Sant'Agata di Puglia ed il clero ha svolto sicuramente un ruolo importante nell'educare il popolo santagatese alla religione. Dalla Cronaca di Sant'Agata del Sacerdote don Lorenzo Agnelli, si apprende che il clero santagatese sin dal IX secolo sembra sia stato il più numeroso nella Diocesi di appartenenza. Nell'anno 1757 vi erano 50 sacerdoti celebranti. Il clero era suddiviso per le tre parrocchie, a cui erano assegnati i tre parroci Arcipreti ed un certo numero di sacerdoti coadiuvanti. Tra i sacerdoti santagatesi si distinsero: Gerardo Antonio Volpe, nato il 28 luglio 1692, il quale divenne Vescovo di Nocera dei Pagani; il menzionato sacerdote don Lorenzo Agnelli, esperto di storia locale, il quale ha trattato le problematiche del meridione e ha diffuso la dottrina cristiana, scrivendo vari libri; il parroco arciprete Don Donato Pagano, fondatore della "Casa del Sacro Cuore di Gesù" attuale centro di riposo per anziani, originariamente anche ricovero per orfanelli, asilo infantile e tipografia. Alle funzioni del clero si affiancano le attività dei fedeli spesso riuniti in Associazioni per l'esercizio di opere di pietà e di carità, queste sono le Confraternite, aventi come scopo anche l'incremento del culto pubblico. Le Confraternite si costituiscono in una Chiesa dedicando il proprio nome alla Vergine Maria, al SS. Rosario, al SS. Sacramento, ai Santi, hanno uno statuto e una divisa particolare. I confratelli si attengono allo statuto ed annoverano il diritto agli accompagnamenti funebri ed ai suffragi. In Sant'Agata l'esistenza di questi sodalizi è documentata da molti secoli. La Confraternita del SS. Rosario fu istituita presso il Convento dei Frati Minori dell'Annunziata, successivamente nel XVII secolo fu trasferita nella Chiesa di S. Nicola ove ebbe come sede la Cripta, laddove vi era anche la Confraternita della Buona Morte. Le altre Confraternite istituite sono: Annunziata e Sant'Antonio (Chiesa dell'Annunziata), Confraternita del Carmine (Chiesa Madonna del Carmine); Confraternita Madonna delle Grazie (Chiesa Madonna delle Grazie); le Confraternite di San Michele e dello Spirito Santo (presso la Chiesa di San Michele Arcangelo) e la Confraternita del SS. Sacramento (Chiesa San Nicola). Fino agli inizi degli anni ‘90 in Sant'Agata di Puglia vi erano due parroci, Don Luigi Sanità presso la Chiesa di Sant'Andrea e Don Michele Falcone presso la Chiesa Madre San Nicola, oltre i due frati assegnati al Convento dell'Annunziata. Presso le Chiese Parrocchiali e la Chiesa SS. Annunziata la officiatura della Santa Messa veniva espletata quotidianamente. Alla Chiesa della SS. Trinità (di proprietà comunale, in seguito al passaggio dei beni dell'ex E.C.A. che raccolsero le eredità dei legati pii), alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie e alla Chiesa del Cimitero comunale si officia soltanto la domenica, nei giorni festivi e nelle ricorrenze. Alla Chiesa di San Rocco, alla Chiesa della Madonna del Carmine e alla Chiesa della Madonna dell'Arco si officia solo in occasione di festività particolari e ricorrenze. A Don Michele Falcone è seguito nella prima decade del 2000 Don Sante Dota. Oggi le tre Chiese Parrocchiali sono state riunite in unica Parrocchia la cui denominazione riporta i nomi delle Chiese di San Nicola, San Michele Arcangelo e Sant'Andrea, il cui Parroco è Don Radoslaw Hryniewicki. Il patrimonio sacro ed artistico custodito nelle Chiese di Sant'Agata di Puglia è notevole: statue, dipinti, sculture, complessi architettonici, ornamenti sacri, sono presenti in tutti i luoghi di culto. Quest'insieme di opere d'arte riveste una importanza pregevole per cui diventa essenziale farne la cono-scenza. L'edicola sacra è quella piccola costruzione in muratura, assai frequente nell'arte cristiana, che contiene statue o immagini della Madonna o di Santi. Queste sono sparse sia lungo le strade di campagna che all'ingresso o nel centro urbano. Questa usanza di edificare ai lati delle strade questo tipo di costruzione è molto antica e la si fa risalire al periodo pagano. Solitamente le edicole venivano disposte agli incroci, presso i ponti o agli ingressi e presso i fondi rustici, a protezione di tali luoghi. In paese sono presenti ai due ingressi e lungo le strade interne. Oltre alle costruzioni in muratura con doppio spiovente, sono presenti le edicole-nicchie, cioè quelle ricavate nel muro, le croci (solitamente innalzate per rendere grazie alla fine di una epidemia) le stele su pietra (utilizzate di recente per il ricordo delle Missioni) e le immagini sacre su piastre in ceramica.

I Monumenti della Fede 

In un suggestivo itinerario, che percorre tutto l'abitato, si possono ammirare i tanti monumenti cristiani eretti nel corso dei secoli. A partire dal borgo antico è possibile visitare: nel Castello, la Chiesa di Sant'Agata; lungo il crinale nord-ovest del paese, la Chiesa di Sant'Andrea e la Chiesa di San Michele Arcangelo, dirigendosi verso la Porta Nuova si giunge alla Chiesa della SS. Trinità, continuando a percorrere l'asse vario che conduce sul crinale opposto del monte, si raggiunge la Chiesa Madre di San Nicola e la Chiesa della Madonna del Carmine. Fuori le mura vi sono: la Chiesa di San Rocco, la Chiesa della SS. Annunziata con il Convento dei Frati Francescani Minori Conventuali, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la Cappella del Calvario, la Chiesa Madonna dell'Arco, la Chiesa del Cimitero. La maggior parte di dette Chiese sono state edificate agli estremi lati del paese, così da poter ottenere più spazio in profondità e poterle realizzare in modo ampio e nelle architetture e disegni desiderati. Il patrimonio artistico conservato nelle Chiese di Sant'Agata di Puglia è considerato un vero e proprio scrigno nelle espressioni artistiche della pittura, della scultura, delle decorazioni. Tra le opere più importanti, si segnalano:

  • Chiesa Sant'Andrea: Crocifisso ligneo del XVII sec. - Coro in legno di noce del XV sec. - Affreschi navata centrale.
  • Chiesa San Michele Arcangelo: Trittico dei Santi, opera pittorica su tavola di legno, XV sec. scuola senese.
  • Chiesa San Nicola: Pala di San Gaetano, opera pittorica del Pacecco de Rosa, anno1654 - Trittico delle Parrocchie, opera scultorea in legno ed oro del XVII sec. - Coro ligneo del XVII sec.; - Presepe, opera scultorea in pietra, XVI sec. Stefano da Putignano; - La Passione, opera pittorica ad encausto, realizzata nel XX secolo dall'artista Enzo Liberti.
 
ARCHITETTURA CIVILE
Palazzo De Marinis - Calcagno 

Il palazzo presenta la facciata principale in Via G. Marinaccio ai nn.cc. 5-7-9. A destra confina con Via G. Marinaccio, a sinistra con Via Teatro, a monte con Via Marconi. Fu edificato verso la fine del 1500 tra la Piazza Vecchia e la Chiesa di San Nicola adottando nell'architettura schemi del primo Rinascimento. Fu poi continuato dalla famiglia Calcagno, che nell'ampliamento occupò parte della Piazza Vecchia. La facciata principale presenta l'ingresso con portale ad arco a tutto sesto, a bugne a cuscino in pietra bianca. Questo è collocato tra due ingressi più piccoli con portali in pietra ad arco, modanati. Si evincono tre piani fuori terra, 10 balconi e 3 finestre. Tutta la struttura è in conci di pietra estratta dalla cava della Liscia e presenta i cantonali in blocchi squadrati. All'ingresso segue un androne, coperto per metà da volta a botte e per metà da lucernario, pavimentato a lastroni lapidei. Nell'androne sono presenti vari ingressi che conducono a locali che erano destinati a stalle, magazzini, cantine, frantoio e centemolo. Inoltre si affacciano. nella parte coperta dal lucernario alcuni balconi. Sulla destra vi è l'imbocco alla scala che conduce al piano nobile. La parte superiore, realizzata in una fase successiva dalla famiglia Calcagno, presenta gli ingressi a monte. La struttura presenta vari manufatti ed elementi architettonici, tra cui: lo scudo in pietra che sormonta l'ingresso principale, raffigurante l'emblema della famiglia De Marinis: "il campo è troncato, con fascia nella parte superiore la luna crescente con due stelle, in quella inferiore il mare solcato. Il campo è sormontato da elmo e svolazzi. Alla punta un volto di animale fantastico"; gli stemmi laterali, posti ai due cantonali a valle, su mensole capitelli, raffigurano la simbologia della famiglia Calcagno: "una mano che impugna il calcagno"; la lapide interna inserita nella parete destra dell'androne, che rappresenta al centro lo stemma della famiglia Calcagno e lateralmente "anse a volute con roselle e frutti di baccelli"; la scultura a tutto tondo raffigurante un uomo che reca scolpito uno stemma, posta sul ballatolo della prima rampa di scale. Al primo piano le stanze sono affrescate.

Palazzo Capria

La costruzione del palazzo venne ultimata da Giovanni Antonio Capria nel 1600. Al palazzo, sul lato posteriore, in seguito, vennero aggiunte altre costruzioni che occuparono l'area della Piazza Vecchia. Dopo l'eccidio del 1648, compiuto nel palazzo, che vide la distruzione della famiglia Capria, esso fu acquistato dal barone Rendina. Nel 1742 il barone lo vendette al marchese Loffredo. Fu ereditato dal marchese Francesco San Felice di Monteforte. che dopo la morte della moglie Maria Luisa si trasferì con la sua amministrazione dal castello nel palazzo. Nel 1672 vi morì il vescovo Francesco Antonio Curzio, che si trovava in visita a Sant'Agata di Puglia. Nel 1840 l'edificio fu sede di un piccolo teatro borghese, ciò è ricordato nel toponimo della strada che delimita la costruzione sul lato destro: "Via Teatro". Il 10 maggio 1851 vi moriva il vescovo Francesco Saverio Farace. Nel 1930 venne realizzato l'intonaco delle pareti esterne. La facciata principale della costruzione si affaccia su Piazza XX Settembre e presenta tre piani fuori terra. La pianta è poligonale con corte interna. Tranne al piano terra, la facciata è a finto bugnato a conci regolari. Mentre l'ingresso principale è incorniciato da bugnato in pietra rigato. Questo lato dell'edificio presenta varie finestre e balconi. La corte interna di forma rettangolare è pavimentata a lastre, è dotata di un pozzo collocato sul lato destro, e di una rampa di scale in pietra per l'accesso ai piani superiori, anche essa situata sul lato destro. Sull'ingresso principale e precisamente sul concio di chiave è collocato lo stemma della famiglia Capria, raffigurante: "una capra rampante un albero con lo sguardo rivolto verso il sole nascente". Sempre sullo stesso portale è riportata su tre righe una scritta che testimonia l'anno di costruzione e il nome del proprietario del palazzo.

TEMPORIS DIUTURNITATE FATIS GENTIUM AREA AEQUATA JOANES ANTONIUS CAPRA DOMUM HANC FORMA ET MAGNITUDINE LONGI/CONSPICUAM SIBI ET AMICIS GRAVI AERE CONSTRUX1T - A.D. MCCCCCC). Gli ambienti interni sono affrescati e arredati con mobili antichi. 

Palazzo Vinciguerra 

L'anno di costruzione del palazzo è forse il 1730, data che si trova scolpita su un'alzata delle scale interne che conducono al terrazzo. L'edificio venne realizzato su strutture preesistenti ricavate nella roccia della montagna, che costituivano abitazioni primitive, acquistate dai Vinciguerra. Il prospetto principale è ubicato su C.so Carmelo Barbato. Al civico 28 è il portale principale costituito da un arco policentrico barocco., tramite il quale si accede a un buio androne. L'edificio ha pianta poligonale e presenta tre piani fuori terra. La facciata principale
Stemma mostra vari balconi su grosse mensole di sostegno e finestre. Gli altri prospetti della fabbrica non mostrano grossi fregi stilistici. A sinistra dell'ingresso principale si apre un arco che dà origine alla Via "Arco Vinciguerra". Nell'androne interno vi è lo scalone che porta al piano nobile. Una parte dell'androne era adibita a stalla e cantina. Su uno degli ingressi secondari spicca lo stemma della famiglia Vinciguerra che raffigura "Una spada posta in palo e scolpita una scritta: DBV AD 1843; lo stemma è sormontato da un mascherone con barba; inferiormente spiccano tre spighe". Gli altri ingressi secondari sono collocati in Via Vinciguerra civico 4, e Via Garibaldi civici 15 e 17. L'area dell'edificio è pari a metri quadrati 380,50 circa. Gli ambienti interni sono stati affrescati negli anni 40 dal pittore Gaetano Leo. Gli arredamenti sono neoclassici in legno di noce.

Palazzo Volpe

L'edificio è sito in C.so Vittorio Emanuele n. 39 (presenta altri ingressi sia a valle, che a monte in Via Volpe e Nova). Fu edificato nel XVII secolo. su quell'asse viario denominato "Via Perillo" che "menava alle Puglie" in posizione prospiciente la cinta muraria urbana. In seguito fu ampliato superiormente. Ha subìto nell'ultimo secolo vari rimaneggiamenti. La struttura è in fabbrica dì pietrame misto, rivestito da intonaco; il cantonale destro è in blocchi di pietra. Il cornicione è decorato con dentellatura che richiama lo stile neoclassico. La struttura presenta all'ingresso principale un portale in pietra ad arco a tutto sesto. a imposta continua, modanato all'estradosso, con chiave di volta decorata. su cui vi è lo stemma della famiglia Volpe: una volpe che guarda il sole, sormontato da corona". Il prospetto principale presenta: quattro piani fuori terra; l'ingresso tra due finestre poste simmetricamente, ed altri ingressi secondari che sono stati rifatti negli ultimi anni. Si affacciano alcuni balconi e una loggia con parapetto in muratura. A monte vi è un piano fuori terra ed altre abitazioni di cui un ingresso presenta un piccolo stemma. che raffigura una volpe passante e la data: "1870". Al pianterreno, in origine, sia i locali esterni, che quelli con accesso dall'androne. erano adibiti a stalla. cantine, frantoio. depositi. ecc... Tramite scala interna si accede al piano nobile dotato dì lucernario ed arredato con mobili in legno.

Palazzo Barbato

L'edificio è collocato prospiciente la cinta muraria urbana, è stato edificato tra il XVIII e il XIX secolo su strutture preesistenti (grotte) ricavate nella roccia della montagna, che oggi costituiscono le cantine. La facciata principale è sita in Corso Carmelo Barbato, ove presenta gli ingressi ai numeri civici 48 e 50. I due ingressi sono incorniciati da portali i cui conci di chiave raffigurano due volti barbuti a simboleggiare il cognome della famiglia, realizzati dal mastro scalpellino santagatese Antonio Zanzonico nel 1854. Il palazzo è a corte e presenta una fabbrica in blocchi di pietra listati con cantonali. Ha tre piani fuori terra, sette balconi, varie finestre ornate da cornici lisce in pietra. Nell'androne vi sono gli ingressi alla stalla e alle cantine in cui vi era anche il frantoio; il pavimento è in lastricato; da qui si imbocca la scala a sei rampe che conduce ai piani abitati, le cui volte, a crociera e a botte, sono affrescate. Le stanze sono arredate da mobili antichi. Al terzo piano è presente una Cappella in legno, settecentesca.

Casa Torre

Prima delle edificazioni dei palazzi signorili, in Sant'Agata di Puglia, la casa torre campeggiava solitaria, prospiciente la cinta muraria urbana. Alla casa si accede da Via Arco Pronti. Il lato della costruzione che insiste sui tetti delle abitazioni che si affacciano su Piazza XX Settembre, presenta superiormente un fregio che culmina con cornicione aggettante protetto da tegole. Qui è presente una finestra affiancata da due mensole. Su Via Arco Pronti la casa torre presenta tre piani fuori terra. La scala di accesso esterna termina con ballatoio collocato su arcone di sostegno in fabbrica di mattoni. Su questo arcone si affaccia una finestra bifora di espressione tardo gotica, mancante del pilastro centrale e affiancata da due mensole che riportano scolpiti volti umani. I cantonali della casa sono in blocchi di pietra squadrati. La superficie è di metri quadrati 16,35. La costruzione presenta caratteristiche costruttive e stilistiche raffinate di influenza dei centri di maggior richiamo.

Palazzo Torraca Rosati

Il palazzo volge il prospetto di valle, di fronte alla cinta muraria urbana su C.so Carmelo Barbato. L'ingresso principale a monte è in Via Garibaldi n. 5. Presenta altri ingressi sia a monte che a valle i cui vani, oggi, costituiscono singole abitazioni. Il palazzo fu edificato nel XVIII secolo dalla famiglia Torraca, il cui emblema è rappresentato nello scudo in pietra posto sull'ingresso principale su cui è scolpito "nel campo una torre dalla quale emerge a metà corpo un leone; in alto due stelle e un cherio destro; lo scudo è sormontato, da una corona Succedettero i Rosati i quali simboleggiarono il proprio cognome con la realizzazione. lungo tutto il fronte del portale d'ingresso, di rose scolpite. A monte sono presenti due piani fuori terra, a valle tre. Il tipo di fabbrica impiegata è in pietrame misto, oggi in parte ricoperto da intonaci. I Rosati ristrutturarono l'edificio con la realizzazione del balcone che si affaccia su Piazza XX Settembre, con balaustra e fioriere. Su Via Garibaldi (a monte) si affacciano una finestra grande e due più piccole. Su C.so Carmelo Barbato (a valle) si affacciano tre balconi con mensole sottobalconi decorate con foglie d'acanto.

 

IL PARCO URBANO DELLE OPERE IN PIETRA
Il centro abitato, di impianto medioevale, conserva un prezioso patrimonio scultoreo realizzato dai mastri scalpellini santagatesi, è il cosiddetto: "Parco Urbano delle Opere in Pietra"
....Leoni rampanti, spade, cavalli, draghi, marine, motivi floreali, conchiglie, volti umani, immagini sacre, simboli apotropaici, cornici, elementi della natura, motivi ornamentali, simboli araldici, attrezzi del mestiere, segni... Sono questi e tanti altri gli elementi scolpiti nella pietra ed incastonati sulle facciate, sui portali, ai cantonali ed ai sotto balconi dei fabbricati. L'insieme di queste opere costituisce un patrimonio culturale, non solo artistico, ma che riguarda anche la realtà sociale ed economica del paese. La simbologia veniva commissionata al fine di rappresentare il cognome della famiglia. Oppure, per proteggere l'abitazione dal male, venivano realizzate sulle chiavi di volta dei portali, o sulle facciate principali delle abitazioni, immagini sacre: la Madonna, il Cristo, gli Angeli, oppure simboli pagani quali: le classiche corna, volti fantastici che mostrano i denti e la lingua. Spesso si facevano realizzare volti umani a ricordo dei propri cari defunti. Altra tematica scolpita sugli usci delle abitazioni è quella delle professioni e dei mestieri. Sul portale dell'ingresso di una bottega di un fabbro (XIX sec.) è singolare come la chiave di una volta su cui è rappresentato quel mestiere, diventa una vera e propria insegna pubblicitaria. La fantasia dei mastri scalpellini si esprimeva maggiormente nelle decorazioni, realizzate sulla maggior parte degli elementi strutturali in pietra delle facciate principali dei fabbricati. Oggi, grazie anche a piani di intervento comunali per il recupero delle facciate del centro urbano, i tanti caratteristici portali in pietra scolpiti nel corso dei secoli, hanno riacquistato la loro originaria bellezza e il loro effettivo valore storico, artistico e culturale.


 

 

 
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